Guy de Maupassant : Cameriere, una birra !... (Garçon, un bock !...)
Traduzione : Ervin Rupnik
Mise en forme HTML : Thierry Selva

CAMERIERE, UNA BIRRA !...

A José Maria de Heredia

    Perché, quella sera, sono entrato in quella birreria ? Non lo so. Faceva freddo. Una pioggia fine, una polvere d'acqua volteggiava, velava i lampioni a gas con una nebbiolina trasparente, faceva luccicare i marciapiedi che attraversavano i bagliori delle vetrine, rischiarando il fango umido e i piedi sporchi dei passanti.
    Vagavo senza meta. Camminavo un po' dopo pranzo. Oltrepassai il Crédit Lyonnais, la rue Vivienne, e altre strade ancora.
    D'un tratto scorsi una grande birreria mezza vuota. Entrai, senza alcuna ragione. Non avevo sete.
    Gettai un'occhiata per trovare un posto dove non sarei stato troppo stretto, e andai a sedermi accanto a un uomo che mi sembrò vecchio e che fumava una pipa da due soldi, d'argilla, nera come il carbone. Sette o otto sottocoppe, in pila sul tavolo, indicavano il numero di birre che aveva già bevuto. Non esaminai il mio vicino. Mi era bastata un'occhiata per riconoscere in lui un « bockeur », uno di quei frequentatori di birrerie che arrivano il mattino, quando si apre, e se ne vanno la sera, quando si chiude.
    Era sporco, calvo in cima al capo, mentre dei lunghi capelli unti e brizzolati gli scendevano sul colletto della redingote. Gli abiti troppo larghi sembravano essergli stati confezionati in un'epoca in cui aveva la pancia. Si capiva che i pantaloni non stavano su e che quest'uomo non poteva fare dieci passi senza riaggiustare e trattenere questo indumento mal fissato. Chissà se ce l'aveva un gilet. Il solo pensiero degli stivaletti e di ciò che potevano racchiudere mi terrificò. I polsini sfilacciati avevano i bordi completamente neri, come le unghie del resto.
    Quando mi fui seduto a fianco di questo personaggio, costui mi disse con voce tranquilla : « Tutto bene ? »
    Scosso, mi volsi verso di lui e lo squadrai. Egli riprese : « Non mi riconosci ?
    - No !
    - Des Barrets. »
    Rimasi stupefatto. Era il conte Jean Des Barrets, mio ex compagno di collegio.
    Gli strinsi la mano, interdetto a tal punto che non trovai nulla da dire.
    Alla fine balbettai : « E tu, tutto bene ? »
    Mi rispose placidamente : « Si fa quel che si può. »
    Tacque. Io provai a essere gentile, cercai una qualche frase da dire : « E… che fai ? »
    « Lo vedi », replicò con rassegnazione.
    Mi sentii arrossire. Insistetti : « Ma… tutti i giorni ? »
    « Tutti giorni la stessa cosa », disse, mentre soffiava spesse boccate di fumo
    Poi, battendo sul marmo del tavolino con un soldo che trascinava avanti e indietro, gridò : « Cameriere, due birre ! »
    Una voce lontana ripeté : « Due birre al quattro ! » Un'altra voce più distante ancora lanciò un « Ecco ! » acutissimo. Poi apparve un uomo con un grembiule bianco, portando le due birre di cui spandeva, correndo, la gocce gialle sul suolo sabbioso.
    Des Barrets vuotò d'un sol fiato il suo bicchiere e lo ripose sulla tavola, mentre aspirava la schiuma rimastagli sui baffi.
    Poi mi domandò : « E con te, che novità ? »
    A dire il vero non avevo alcuna novità da raccontargli, per cui balbettai : « Ma niente, vecchio mio. Faccio il commerciante. »
    Pronunciò con quella voce sempre uguale :
    - E… ti diverte ?
    - No, ma che ci vuoi fare ? Bisogna pur fare qualcosa !
    - E perché ?
    - Ma… per tenersi occupati.
    - E a che serve ? Io non faccio nulla, come vedi, mai nulla. Quando non si hanno i soldi, allora capisco che si lavori. Quando si ha da che vivere, è inutile. A che serve dunque lavorare ? Lo fai per te stesso o per gli altri ? Se lo fai per te stesso, vuol dire che ti diverte, allora benissimo ; se lo fai per gli altri, non sei che uno sciocco ».
    Poi, posando la pipa sul marmo, gridò nuovamente : « Cameriere, una birra ! » e riprese : « Mi fa venir sete il parlare. Non ci sono abituato. Sì, io non faccio nulla, mi lascio andare, invecchio. Morendo non rimpiangerò nulla. Non avrò altri ricordi che questa birreria. Nessuna donna, nessun bambino, nessuna preoccupazione, nessun dolore, nulla. E' meglio. »
    Vuotò il boccale che gli avevano portato, passò la lingua sulle labbra e riprese la pipa.
    Lo osservai con stupore. Gli chiesi :
    « Ma non sei stato sempre così ?
    - Sì, sempre, dal collegio in poi.
    - Ma questa non è una vita, amico mio. E' orribile. Vediamo, farai pur qualcosa, ti piacerà qualcosa, avrai degli amici.
    - No. Mi alzo a mezzogiorno. Vengo qui, mangio, bevo delle birre, attendo la notte, ceno, bevo delle birre ; poi, verso l'una e mezzo del mattino, rientro a dormire, perché chiudono. E' quello che mi scoccia di più. Degli ultimi dieci anni, ne ho passati sei su questo sgabello, nel mio angolino ; e il resto nel mio letto, mai altrove. A volte chiacchiero con dei frequentatori.
    - Ma, quando arrivasti a Parigi, che hai fatto all'inizio ?
    - Ho studiato legge… al café de Médicis.
    - E poi ?
    - Poi… ho varcato il fiume e sono venuto qui.
    - E perché ?
    - Che vuoi, non si può restare tutta la vita al Quartiere latino. Gli studenti fanno troppo chiasso. Ora da qui non mi muovo più. Cameriere, una birra ! »
    Credevo che si prendesse gioco di me. Insistetti.
    - Dai, sii franco. Hai avuto qualche grosso dispiacere ? Una delusione d'amore senza dubbio ? Tu sei un uomo che è stato certamente colpito da qualche disgrazia. Quanti anni hai ?
    - Trentatré. Ma ne dimostro almeno quarantacinque.
    Lo guardai bene in volto. La figura rugosa, mal curata, sembrava quasi quella di un vecchio. Sulla cima del cranio, alcuni lunghi capelli volteggiavano sopra la cute, della cui pulizia era più che lecito dubitare. Aveva delle sopracciglia enormi, dei baffoni e una barba spessa. All'improvviso ebbi, non so come, la visione di una bacinella piena d'acqua nerastra, l'acqua in cui sarebbe dovuta lavare tutta quella peluria.
    Gli dissi : « In effetti, sembri più vecchio di quello che sei. Senz'altro hai avuto dei dispiaceri. »
    Mi replicò : « Ti assicuro di no. Sono vecchio perché non prendo mai aria. Non c'è nulla che guasti le persone quanto la vita di café. »
    Non potevo credergli : « Ti sei dato ai gozzovigli, vero ? Non si può essere calvi come te senza avere amato molto. »
    Scosse tranquillamente il capo, seminando sulle spalle quelle piccole cose bianche che cadevano dai suoi ultimi capelli :
    « No, ho fatto sempre il bravo. » E levando gli occhi verso il lampadario che ci scaldava la testa : « Se sono calvo, è colpa del gas. E' il primo nemico dei capelli. - Cameriere, una birra ! - Tu non hai sete ?
    - No, grazie. Ma il tuo caso mi interessa molto. Quando ti ha colto una simile rassegnazione ? Non è normale, non è naturale. Deve esserci sotto qualcosa.
    - Sì, risale alla mia infanzia. Ho ricevuto un brutto colpo, quand'ero piccolo, e questo mi ha reso malinconico per il resto della vita.
    - Cos'è accaduto, dunque ?
    - Vuoi saperlo ? ascolta. Ti ricordi il castello dove sono cresciuto, dove anche tu sei venuto cinque o sei volte durante le vacanze ? Ti ricordi quella grande costruzione grigia, in mezzo a un grande parco, e i lunghi viali di querce, aperti verso i quattro punti cardinali ! Ti ricordi mio padre e mia madre, cerimoniosi, solenni e severi.
    « Adoravo mia madre ; temevo mio padre, e li rispettavo entrambi, abituato del resto a vedere tutti chini davanti a loro. Nel paese erano il signor conte e la signora contessa ; e anche i nostri vicini, i Tannemare, i Ravalet, i Brenneville, mostravano verso i miei genitori una considerazione superiore.
    « Allora avevo tredici anni. Ero allegro, contento di tutto, come lo si è a quell'età, tutto pieno di gioia di vivere.
    « Ebbene, verso la fine di settembre, qualche giorno prima di tornare al collegio, mentre giocavo a fare il lupo nei cespugli del parco, correndo in mezzo ai rami e alle foglie, scorsi, attraversando un viale, papà e mamma che passeggiavano.
    « Mi ricordo come se fosse ieri. Era una giornata molto ventosa. Il filare degli alberi si curvava sotto le raffiche, gemeva, sembrava cacciare delle grida, di quelle grida sorde, profonde, che le foreste lanciano durante le tempeste.
    « Le foglie strappate, ormai gialle, volavano come uccelli, turbinavano, cadevano e poi correvano lungo tutto il viale, come rapidi animaletti.
    « Stava facendosi sera. Nelle macchie di bosco c'era poca luce. Questa agitazione del vento e dei rami mi eccitava, mi faceva galoppare come un pazzo, e urlare per imitare i lupi.
    « Quando scorsi i miei genitori, mi avvicinai a loro con passi furtivi, sotto i rami, per sorprenderli, come un vero randagio.
    « Ma mi fermai, assalito dalla paura, a qualche passo di distanza. Mio padre, in preda a una collera terribile, gridava :
    « - Tua madre è una stupida ; e, d'altronde, non si tratta di tua madre, ma di te. Ti dico che ho bisogno di quei soldi, e pretendo che tu firmi.
    Mamma rispose, con voce ferma :
    « - Io non firmerò. Quello è il patrimonio di Jean. Lo tengo per lui e non voglio che tu lo sperperi con ragazzette e serve, come hai fatto con la tua eredità.
    « Allora papà, tremante di furore, si volse, e afferrando sua moglie per il collo, si mise a colpirla con l'altra mano usando tutta la forza che aveva, in piena faccia.
    « Il cappello di mamma cadde, i capelli slegati si sparsero ; essa cercava di parare i colpi, ma non ci riusciva. E papà, come pazzo, colpiva, colpiva. Essa cadde per terra, nascondendosi il volto tra le braccia. Allora papà la mise supina per picchiarla ancora, schiudendo le mani che le coprivano il volto.
    « Quanto a me, caro mio, mi sembrava che il mondo fosse giunto alla fine, che le leggi eterne fossero sovvertite. Provavo lo sconvolgimento che si ha dinnanzi agli eventi soprannaturali, davanti alle catastrofi più mostruose, davanti ai disastri irreparabili. La mia testa di bambino si smarriva, si sconvolgeva. E mi misi a gridare con tutte le mie forze, senza sapere il perché, in preda a uno spavento, a un dolore, a uno sgomento terribili. Mio padre mi sentì, si volse, mi scorse, e, alzandosi, venne verso di me. Credetti che mi volesse uccidere e fuggii come un animale braccato, correndo dritto davanti a me, nel bosco.
    « Vagai così per un'ora, forse per due, non so. Era venuta notte, caddi sull'erba, e me ne restai là smarrito, divorato dalla paura, tormentato da un dispiacere capace di spezzare per sempre un povero cuore di bambino. Avevo freddo, forse anche fame. Venne il giorno. Non osavo più alzarmi, né camminare, né ritornare, né salvarmi ancora, temendo di incontrare mio padre che non volevo mai più rivedere.
    « Sarei probabilmente morto di fame e di privazioni ai piedi del mio albero, se la guardia non mi avesse trovato e riportato a casa di forza.
    « Trovai i miei genitori con la loro faccia di sempre. Mia madre mi disse soltanto : « Quanta paura mi hai fatto, ragazzaccio, ho passato tutta la notte senza dormire. » Non risposi, ma mi misi a piangere. Mio padre non disse una parola.
    « Otto giorni dopo feci ritorno al collegio.
    « Ebbene, mio caro, per me era finita. Avevo visto l'altra faccia delle cose, quella cattiva ; non ho più scorto quella buona da quel giorno. Che cos'è accaduto nel mio animo ? Quale strano fenomeno mi rivolta le idee ? Lo ignoro. Ma non provo più piacere per niente, non ho più voglia di nulla, amore per nessuno, non ho più alcun desiderio, ambizione o speranza. E vedo ancora la povera mamma, per terra, nel viale, mentre mio padre la massacra di botte. - E' morta qualche anno dopo. Mio padre vive ancora. Non l'ho più rivisto. - Cameriere, una birra !… »
    Gli portarono una birra che mandò giù d'un sorso. Ma, riprendendo la pipa, poiché tremava, la ruppe. Allora ebbe un gesto disperato e disse : « Ecco ! Questa per esempio è una vera disgrazia. Ci metterò almeno un mese a ingrommarne un'altra. »
    E lanciò attraverso la vasta sala, ora piena di fumo e di bevitori, l'eterno grido : « Cameriere, un birra - e una pipa nuova ! »

1° gennaio 1884