Guy de Maupassant : Il marchese de Fumerol (Le marquis de Fumerol)
Traduzione : Ervin Rupnik
Mise en forme HTML : Thierry Selva

IL MARCHESE DE FUMEROL

    Roger de Tourneville, in mezzo a un gruppo di amici, parlava, a cavalcioni di una sedia, teneva un sigaro in mano e di tanto in tanto aspirava e soffiava una nuvoletta di fumo.
    ... Eravamo a tavola quando ci portarono una lettera. Papà l´aprì. Conoscete bene papà che crede di fare il vicario del Re in Francia. Io lo chiamo Don Chisciotte perché si è battuto per dodici anni contro il mulino a vento della Repubblica senza sapere bene se lo facesse in nome dei Borboni o degli Orléans. Oggi regge la lancia solo in nome degli Orléans, perché non sono rimasti che loro. In ogni caso, papà si considera il primo gentiluomo di Francia, il più noto, il più influente, il capo del partito; e poiché è senatore a vita considera i Re dei dintorni come dei soggetti seduti su troni poco sicuri. Quanto a mamma è l´anima di papà, è l´anima della regalità e della religione, il braccio destro di Dio sulla terra e il flagello dei mal pensanti.
    Dunque portarono una lettera mentre eravamo a tavola. Papà l´aprì, la lesse, poi guardò mamma e le disse: « Tuo fratello è in articulo mortis. » Mamma impallidì. In casa non si parlava quasi mai di mio zio. Io non lo conoscevo per niente. Sapevo soltanto dalla pubblica voce che aveva condotto e che conduceva ancora una vita da pulcinella. Dopo aver dilapidato il proprio patrimonio con un numero incalcolabile di donne, gli erano rimaste soltanto due amanti, con le quali viveva in un piccolo appartamento, in rue des Martyrs.
    Ex pari di Francia ed ex colonnello di cavalleria, egli non credeva, si diceva, né a Dio né al diavolo. Dubitando dunque della vita futura, aveva abusato, in tutti i modi, della vita presente; ed era divenuto la piaga nel cuore di mamma.
    Ella disse: « Datemi quella lettera, Paul. » Quand´ebbe finito di leggerla, la richiesi a mia volta. Eccola: « Signor conte, credo dover farvi assapere che vostro coniato il marcheso de Fumerol sta per morire. Può darsi che volete prendere delle decisioni, e non dimenticate che vi ho avvertito.

    « Vostra devota,
    « Mélani. »

    Papà mormorò: « Bisogna far qualcosa. Nella mia situazione debbo vigilare sugli ultimi istanti di vostro fratello. »
    Mamma riprese: « Mando subito a cercare l´abate Poivron per chiedergli consiglio. Poi andrò a trovare mio fratello con l´abate e Roger. Voi, Paul, restate qui. Non dovete compromettervi. Una donna può e deve fare queste cose. Ma per un uomo politico nella vostra posizione è un altro discorso. Un avversario avrebbe buon gioco a servirsi contro di voi della più encomiabile delle vostre azioni.
    - Avete ragione, disse mio padre. Agite secondo la vostra ispirazione, mia cara amica. »
    Un quarto d´ora più tardi, l´abate Poivron entrava in salotto, e la situazione fu esposta, analizzata, discussa sotto tutti i profili.
    Se il marchese de Fumerol, uno dei gran nomi di Francia, fosse morto senza il viatico della religione, sicuramente il colpo sarebbe stato terribile per la nobiltà in generale e per il conte de Tourneville in particolare. Sarebbe stato il trionfo dei liberi pensatori. I giornalacci avrebbero cantato vittoria per almeno sei mesi; il nome di mia madre sarebbe stato trascinato nel fango e nella prosa dei fogli socialisti; quello di mio padre inzaccherato. Una cosa del genere non doveva accadere.
    Fu dunque immediatamente bandita una crociata, che sarebbe stata stata guidata dall´abate Poivron, un pretucolo grasso e pulito, livemente profumato, un vero vicario di gran chiesa in un quartiere nobile e ricco.
    Fu preparato un landò ed eccoci partiti tutti e tre, mamma, il curato ed io, per somministrare i sacramenti a mio zio.
    Era stato deciso che prima si sarebbe incontrata la signora Mélanie, autrice della lettera, probabilmente la portiera o la serva di mio zio.
    Scesi in esplorazione davanti a una casa di sette piani ed entrai in un corridoio buio dove ebbi non poche difficoltà a trovare l´oscuro bugigattolo del portiere. Questi mi squadrò con diffidenza.
    Chiesi: « Mi scusi, c´è la signora Mélanie?
    - Non la conosco!
    - Ma ho ricevuto una lettera da parte sua.
    - E´ possibile, ma non la conosco. E´ forse una mantenuta?
    - No, una cameriera probabilmente. Mi ha scritto per un posto.
    - Una cameriera?... Una cameriera?... Forse è quella del marchese. Andate a vedere, quinto a sinistra. »
    Dal momento che non cercavo una mantenuta, era divenuto più cortese e venne fino al corridoio. Era una uomo alto e magro con dei favoriti bianchi, un´aria da scaccino e dei gesti maestosi.
    Salii di corsa una lunga scala appiccicosa a chiocciola di cui non osai toccare la ringhiera e bussai discretamente tre volte alla porta di sinistra del quinto piano.
    Si aprì subito; e mi trovai di fronte una donna sporca, enorme, che mi sbarrava l´ingresso con le braccia aperte appoggiate ai due stipiti.
    Grugnì: « Che cosa cercate?
    - Siete voi la signora Mélanie?
    - Sì.
    - Sono il visconte de Tourneville.
    - Ah, bene! Entrate.
    - Il fatto è che... mamma aspetta giù con un prete.
    - Ah, bene... Andate a chiamarli. Ma fate attenzione al portiere. »
    Scesi e risalii con mamma che seguiva l´abate. Mi parve di udire degli altri passi dietro di noi.
    Quando fummo in cucina, Mélanie ci porse delle sedie e ci accomodammo tutti e quattro per deliberare.
    « E´ messo molto male? Chiese mamma.
    - Ah sì, signora, non ne avrà per molto.
    - Sembra disposto a ricevere la visita di un prete?
    - Oh!... non credo.
    - Posso vederlo?
    - Ma... sì... signora... soltanto... soltanto... con lui ci sono quelle signorine.
    - Quali signorine?
    - Ma... ma... le sue amichette.
    - Ah! »
    Mamma era divenuta tutta rossa.
    L´abate Poivron aveva abbassato gli occhi.
    La cosa cominciava a divertirmi e dissi:
    « Se entrassi io per primo? Vedrei come mi riceve e forse potrei preparare il suo cuore. »
    Mamma, senza cogliere la malizia, rispose: « Sì, figlio mio. »
    Ma una porta si aprì da qualche parte e una voce, una voce di donna, chiamò:
    « Mélanie! »
    La grassa cameriera si precipitò e rispose:
    « Di che cosa avete bisogno, signorina Claire?
    - L´omelette, sbrigati.
    - Un minuto, signorina. »
    E tornando verso di noi spiegò:
    « E´ un´omelette al formaggio che le signorine mi hanno ordinato per le due come colazzione. »
    E subito dopo ruppe le uova in un´insalatiera e si mise a sbatterle con forza.
    Io uscii sulle scale e tirai il campanello per annunciare il mio arrivo ufficiale.
    Mélanie mi aprì, mi fece sedere in un´anticamera, andò a dire a mio zio che ero arrivato, poi ritornò pregandomi di entrare.
    L´abate si nascose dietro la porta per comparire al primo cenno.
    Fui senz´altro sorpreso vedendo mio zio. Era assai bello, assai solenne, assai chic, quel vecchio viveur.
    Seduto, quasi sdraiato in una grande poltrona, le gambe avvolte in una coperta, le mani, delle lunghe mani pallide, appoggiate sui braccioli del seggio, attendeva la morte con una dignità biblica. La barba bianca gli cadeva sul petto, e i capelli, anch´essi bianchi, si congiungevano a quella sulle guance.
    In piedi, dietro la poltrona, come per difenderlo da me, due giovani donne, due donnine grassocce, mi guardavano con occhi provocanti di ragazze da strada. In sottana e vestaglia, a braccia nude, i capelli neri alla diavola sulla nuca, ai piedi delle ciabatte orientali ricamate d´oro che mostravano le caviglie e le calze di seta, sembravano, accanto a quel moribondo, figure immorali di una pittura simbolica. Tra la poltrona e il letto una piccola tavola con sopra una tovaglia, due piatti, due bicchieri, due forchette e due coltelli, aspettava l´omelette al formaggio ordinata poc´anzi a Mélanie.
    Mio zio disse con voce debole, ansimante, ma chiara:
    « Buongiorno, figlio mio. E´ tardi per venirmi a trovare. Non sarà lunga la nostra conoscenza. »
    Balbettai: « Zio, non è colpa mia... »
    Rispose: « No. Lo so. E´ più colpa di tuo padre e di tua madre che tua... Come stanno?
    - Non male, grazie. Non appena hanno saputo che eravate malato, mi hanno mandato qui a ricevere notizie.
    - Ah! Perché non sono venuti di persona? »
    Levai gli occhi sulle due ragazze e dissi dolcemente: « Non è colpa loro se non sono potuti venire, zio. Ma sarebbe difficile per mio padre, e impossibile per mia madre, entrare qui... »
    Il vegliardo non rispose nulla, ma sollevò la sua mano verso la mia. Presi quella mano pallida e fredda, e la trattenni.
    Si aprì la porta: Mélanie entrò con l´omelette e la posò sulla tavola. Le due donne si sedettero subito davanti ai loro piatti e si misero a mangiare senza distogliere gli occhi da me.
    « Zio - dissi - sarebbe una grande gioia per mia madre abbracciarvi. »
    Egli mormorò: « Anch´io... vorrei... », e tacque. Non trovavo nulla da proporgli, e non si udiva altro che il rumore delle forchette sulla porcellana e quel vago movimento delle bocche che masticavano.
    A questo punto l´abate, che ascoltava dietro la porta, percependo il nostro imbarazzo e credendo che la partita fosse vinta, giudicò che fosse giunto il momento di intervenire, e si mostrò.
    Mio zio rimase a tal punto sbalordito da tale apparizione che all´inizio restò immobile; poi spalancò la bocca come se volesse divorare il prete; poi gridò con voce forte, profonda, furiosa:
    « Che cosa venite a fare voi qui? »
    L´abate, uso alle situazioni difficili, continuava a venire avanti, mormorando:
    « Vengo in nome di vostra sorella, signor marchese; è lei che mi manda... Sarebbe così felice, signor marchese... »
    Ma il marchese non ascoltava. Levando una mano indicò la porta con un gesto tragico e superbo, e disse esasperato, ansimando:
    « Uscite di qui..., uscite di qui... ladri d´anime... Uscite di qui, violentatori di coscienze... Uscite di qui, scassinatori di porte di moribondi! » E l´abate arretrava, e anch´io arretrai verso la porta, battendo in ritirata con il mio clero; e, vendicate, le due donnette si erano alzate, lasciando a metà la loro omelette, e si erano piazzate ai due lati della poltrona di mio zio, posando le mani sulle sue braccia per calmarlo, per proteggerlo contro le imprese criminali della Famiglia e della Religione.
    Io e l´abate raggiungemmo mamma in cucina. E Mélanie ci porse di nuovo delle sedie.
    « Lo sapevo che non sarebbe andata liscia, disse costei. Bisogna escogitare qualcos´altro, altrimenti ci sfuggirà. »
    E ricominciammo a deliberare. Mamma era di un´opinione; l´abate di un´altra. Io ne sostenevo una terza.
    Discutevamo circa da una mezz´ora quando un frastuono di mobili smossi e di grida scagliate da mio zio, ancora più veementi e terribili di quelle di prima, ci fecero balzare in piedi tutti e quattro.
    Sentivamo attraverso le porte e i tramezzi: « Fuori... fuori... zoticoni... pedanti... fuori mascalzoni... fuori... fuori...  »
    Mélanie si precipitò, poi ritornò immediatamente per chiamarmi in aiuto. Accorsi. Di fronte a mio zio levatosi per la collera, che sbraitava stando quasi in piedi, due uomini, uno dietro l´altro, sembravano attendere che morisse di furore.
    Dalla lunga ridicola pastrana, dalle lunghe scarpe inglesi, dall´aria di precettore disoccupato, dal colletto ritto e dalla cravatta bianca, dai capelli incollati, dalla figura umile di falso prete di una religione bastarda, riconobbi immediatamente nel primo un pastore protestante.
    Il secondo era il portiere dello stabile che, appartenendo al culto riformato, ci aveva seguiti, aveva veduto la nostra sconfitta, ed era corso a cercare il suo prete, nella speranza di ottenere miglior sorte.
    Mio zio appariva folle di rabbia! Se la vista del prete cattolico, del prete dei suoi antenati, aveva irritato il marchese de Fumerol divenuto libero pensatore, la vista del ministro del suo portiere lo mandava completamente fuori di sé.
    Afferrai per il braccio i due uomini e li spinsi fuori così bruscamente che si abbracciarono con violenza due volte di seguito al passaggio delle due porte che conducevano alle scale.
    Poi sgombrai il campo anch´io e feci ritorno in cucina, il nostro quartier generale, per consigliarmi con mia madre e l´abate.
    Ma Mélanie, sconvolta, rientrò gemendo: « Muore... muore... venite presto... muore... »
    Mia madre si precipitò. Lo zio era caduto per terra, disteso lungo il parquet, e non si muoveva più. Credo proprio che fosse morto.
    Mamma fu superba in quel frangente. Marciò diretta verso le due ragazze inginocchiate accanto al corpo e che cercavano di sollevarlo. E mostrando loro la porta con un´autorità, una dignità, una maestà irresistibili, pronunciò queste parole:
    « Ora tocca a voi uscire. »
    Ed esse uscirono, senza protestare, senza dire una parola. Debbo aggiungere che mi apprestavo a cacciarle con la stessa veeemenza usata verso il pastore e il portiere.
    Allora l´abate Poivron somministrò i sacramenti a mio zio con tutte le preghiere d´uso e gli rimise i peccati.
    Mamma singhiozzava, prostrata accanto a suo fratello.
    D´un tratto gridò:
    « Mi ha riconosciuta. Mi ha stretto la mano. Sono sicura che mi ha riconosciuta!!!... e che mi ha ringraziata! oh, mio Dio! che gioia! »
    Povera mamma! Se avesse capito o almeno indovinato a chi e a cosa quel ringraziamento doveva rivolgersi!
    Sdraiammo lo zio sul suo letto. Questa volta era proprio morto.
    « Signora, disse Mélanie, non abbiamo lenzuola per avvolgerlo. Tutta la biancheria appartiene a quelle signorine. »
    Io guardavo l´omelette che non avevano finito di mangiare, e avevo, allo stesso tempo, voglia di piangere e di ridere. Ci sono degli strani momenti e delle strane sensazioni, a volte, nella vita!
    Ebbene, abbiamo fatto a mio zio dei funerali magnifici, con ben cinque discorsi sulla sua tomba. Il senatore barone de Croiselle ha dimostrato, in termini ammirevoli, che Dio rientra sempre vittorioso negli animi nobili che pur si sono smarriti per qualche istante. Tutti gli esponenti del partito realista e cattolico seguivano il corteo funebre con entusiasmo da trionfatori, parlando di questa bella morte dopo una vita un po´ irrequieta.
    Il visconte Roger aveva smesso di parlare. Intorno a lui si rideva. Qualcuno disse: « Bah! Questa è la storia di tutte le conversioni in extremis. »